Acqua&Vento (3/3)

È stato più o meno all’inizio di luglio che, dopo un brainstorming fra le migliori menti (?) del KCK, è finalmente venuto fuori un nome adatto a questo stage.

Ritenevamo fosse importante dare un nome all’evento, perché i nomi si danno a qualcosa cui puoi affezionarti. E noi, ad Acqua&Vento, un po’ ci siamo affezionati.
Ancora prima che nascesse.

E vorremmo che rimanesse un po’ anche nei vostri cuori, oltre che nei vostri muscoli (ma quello si smaltisce in fretta, con l’acido lattico).

Katsuhika Hokusai, La grande onda di Kanagawa, 1831 ca.

Perché Acqua e Vento?

Prosaicamente, perché è qualcosa che accomuna le due città di provenienza dei due maestri che insegneranno: il maestro Daniele Boffelli, da Venezia, e il maestro Didier Lupo, da Marsiglia. Città di mare e di vento, situate in direzioni opposte rispetto alla nostra tranquilla Brianza, la quale – potremmo dire – ne sta al centro.

Un po’ più approfonditamente, perché Acqua e Vento sono due elementi cardine dell’antica concezione della Natura, il cui spirito è tutt’oggi molto vivo nelle arti marziali.

Senza nulla togliere agli altri elementi, l’Acqua è forse più di tutto ciò che rappresenta l’idea di karatedo che portiamo avanti nella nostra scuola (se vi ricordate di questo…).

Il kanji di “acqua”. Si legge mizu, o anche sui.

Acqua e Vento, con la loro instancabile opera modellano le montagne e le rocce (la Terra!), alimentano od estinguono il Fuoco (la passione impulsiva?) e sono sinonimo di qualcosa che può essere quieto ma al tempo stesso foriero d’un’energia inarrestabile.
Sono emblema di pazienza e duro lavoro; studio, analisi e istinto (pensate ad una raffica improvvisa).

Il kanji di “vento”. Si legge kaze, oppure huu.

Ma sono anche emblema del nostro percorso nel karatedo, quando, da principianti, s’impara la forma, con ore ed ore spese ad esercitarsi nei movimenti, quegli stessi movimenti che lo stile shotokan ha reso così codificati, ma che “da adulti” vengono di nuovo resi imperfetti, senza più forma né formalità.

Come disse un (bravo) maestro: «Il karate è prendere qualcosa senza forma, darle una forma e tornare infine alla non-forma».

Un po’ come l’Acqua, che assume la forma (appunto!) del contenitore.

Un po’ come il Vento, che è riluttante ma può essere incanalato; muove i mari, solleva la natura.

O diviene una brezza delicata. Una dolce carezza, che è lo spirito ultimo del praticante di karatedo.

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