Logos e loghi

Oggi, lunedì 10 ottobre 1988, sotto la guida del giovane maestro Roberto Colombo, il Kanku-dai Club Karate-do Desio dà il via ai lavori alla presenza di tre allievi, fiduciosi nel cuore e determinati nello spirito. Comincia una nuova avventura destinata a perdurare nel tempo!

Ecco, scusate l’attacco da Istituto Luce, ma non ho potuto resistere. Trent’anni son lunghi e ce ne sarebbero di cose da dire, da ricordare e da riportare. Però di questo scriveremo un’altra volta; qui, adesso, vorremmo parlare di tutt’altro.

Per il trentennale abbiamo deciso un piccolo restyling del logo. Però, non come si fa con le vecchie case, quando si passa una mano di vernice e finisce tutto lì. C’è qualcosa di più. Un logo è una cosa importante; è un marchio. Potrebbe sembrare banale, ma un logo è prima di tutto un biglietto da visita e come tale deve rappresentare, fin nei più minuti dettagli, quelli che sono i principi della scuola.

Proveremo quindi a spiegare quali sono i simboli nascosti dietro al nostro… simbolo! Ma prima, una piccola galleria dei precedenti:

così da poter capire l’evoluzione nel corso del tempo.

Il contorno

Innanzi tutto: facendo una veloce ricerca su internet, potrete accorgervi che il 99% dei simboli dei club di arti marziali sono rotondi. Sapete perché? No? Be’, nemmeno io, ma suppongo che sia per un motivo di… tradizione. Infatti, i simboli giapponesi delle scuole di arti marziali sono tutti di forma più o meno rotonda: il cerchio rappresenta l’armonia dell’universo, concetto molto importante nella filosofia zen.

A molti, ad esempio, questo simbolo (陰陽, yinyo, conosciuto anche come yin & yang) è noto: rappresenta l’unione, gli opposti, insomma l’equilibrio di tutte le cose. Detta un po’ alla buona, è da qui che tutti traevano ispirazione.

E noi invece? Be’, il simbolo del KCK è abbastanza unico nel suo genere, dato che è racchiuso da una goccia. Perché? In ossequio al vecchio proverbio latino ovviamente: “Gutta cavat lapidem”, ovvero che “La goccia scava la roccia”, idea di perseveranza che compare anche nel nostro motto:

Esercitarsi mille giorni è allenamento,

esercitarsi diecimila giorni è disciplina!

Ah, un’altra cosa: la goccia è sinonimo di acqua. Non significa certo che il KCK sia una scuola umida (anche se più volte la nostra palestra si è allagata nei tempi andati!), però l’acqua per definizione è fluida, si adatta, ci si passa attraverso, e può avere una potenza tremenda! Non ci crederete ma… un karate-ka fa lo stesso! Almeno, nel nostro modo di intendere questa meravigliosa disciplina. E non solo sul tatami, ma soprattutto nella vita.

L’omino

La mano sapiente della nostra artista di fiducia è riuscita a disegnare una persona a partire da alcune scritte giapponesi: padre (, chichi), donna (, onna) e bambino (, ko), opportunamente riarrangiate. Sì, lo sappiamo che è difficile trovarcele ora, ma vi assicuriamo che nel processo creativo è andata proprio così!

L’omino rappresenta il maestro Taiji Kase, anche se dopo una ferrea dieta! Il maestro Kase, infatti, aveva forme molto più… arrotondate, una via di mezzo fra l’omino Michelin e un pupazzo di neve. Ciononostante, il suo karate-do era di estrema qualità, perfettamente costruito su quel fisico così poco atletico. Cosa ci insegna? Che ognuno, nel tempo, adatta e costruisce il proprio karate; che non serve essere super-muscolosi per fare karate, e che… essere eccessivamente magri non serve a niente. Un sorriso cordiale e un po’ di ciccia rendono le persone più simpatiche. Chiedete a Babbo Natale!

Non finisce qui. Nella nostra stilizzazione del maestro Kase, c’è qualcosa di nascosto, che magari non si vede subito. Per questo bisogna guardare con attenzione (ecco un’altra cosa da imparare!). C’è una strana c in mezzo alle gambe dell’omino che però, aspetta!, non sono solo gambe, ma formano la scritta KCK! Alzi la mano chi l’aveva vista subito…

E se continuate a guardare con attenzione, vedrete anche una piccola casetta, che racchiude la strana c. Per noi vuole significare che il dojo (cioè la palestra, si scrive così 道場) è un luogo dove ci si può sentire… a casa e, come tale, va curato e rispettato.

Sempre sulla strana c rossa, si può dire qualcos’altro: anche qui, se cercate in rete troverete che somiglia molto al simbolo dell’enso (円相), uno dei principali del buddismo zen (cui, per motivi storici, sono molto legate tutte le arti marziali giapponesi). Cos’è l’enso? Ancora: armonia, unione e totalità. Come dovrebbe esserlo ogni tecnica di karate! Sì vabbé, non è il caso di farla tanto lunga… In verità, a noi serviva un bel modo per mettere un acronimo, ma alla fine anche l’enso è tornato utile. Tutto ciò che si impara (anche nel karate), prima o poi torna utile!

Il nome

Infine, la cosa forse più importante: il nome della scuola, che fra l’altro compare anche ricamato sulle giacche dei karate-gi dei nostri cari praticanti. È composto da due scritte, in tutto sei caratteri giapponesi, chiamati kanji. Quella più a sinistra si legge kara-te-do, e non dovremmo certo dire cosa ci sta a fare, mentre l’altra si legge kan-ku-dai. È il nome di uno dei 26 kata della scuola shotokan, ma, ovviamente, è anche il nome del nostro club! Tutto qui? No di certo.

Kan-ku, è formato da due kanji, rispettivamente di “contemplare” (観) e “cielo” (空).

Il significato è chiaro, no? “Contemplare il cielo”, ovvero, “guardare oltre”. È l’invito che rivolgiamo a ciascuno, come scuola di karate ma soprattutto come esseri umani: non fermatevi alla prima impressione, abbiate consapevolezza che c’è sempre qualcosa di più, oltre. Basta solo fermarsi un momento e guardare; contemplare appunto. Contemplare richiede calma e pazienza, doti fondamentali per un karate-ka.

Sul tatami, infine, “guardare oltre” assume un significato ancora più marziale (ma lo si scopre solo andando avanti con gli anni!): significa avere un progetto di azione, avere già chiaro in mente che una tecnica non è mai da sola, bensì “guarda oltre”, ad un obiettivo preciso e definitivo. E vale tanto in allenamento, quanto in gara. Ma questa è un’altra storia…

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