Caro saluto

La prima volta che assistetti ad un allenamento di karate, avevo più o meno 13 anni. L’idea mi sfregolava da un po’, di fare karate intendo, ma all’epoca giocavo a calcio e i giorni degli allenamenti coincidevano, perciò per fare una cosa avrei dovuto abbandonare l’altra. Ovviamente non volevo, così, quella volta avevo accompagnato il mio papà (questi genitori che non sanno cavarsela da soli!) solo per guardare…

Mafalda, (C) di Quino. Be’, a Quino possiamo fare un piccolo inQuino di ringraziamento!

Forse è il caso che dica anche che da neo-adolescente io ero del tipo piuttosto irrequieto, non particolarmente fastidioso, anzi pure simpatico, ma di certo ostile all’autorità… come tutti gli adolescenti dovrebbero essere (genitori, perdonatemi!).

Insomma, la prima cosa che vidi di quell’allenamento erano tutti gli allievi (fra loro, il mio papà) messi in riga davanti al maestro, inginocchiarsi ed inchinarsi. Per non parlare poi di tutte le volte che, durante l’ora e mezza di pratica, si inchinavano fra loro o al nulla! “Ma come!?”, mi domandavo. “A cosa cavolo servono tutti questi inchini?”

So che può sembrare strano (adesso, a me lo sembra!), ma la cosa mi diede enormemente fastidio. Semmai avessi deciso di fare karate, mi dissi, non mi inchinerò MAI a nessuno. E che mi sbattano fuori! Voglio proprio vedere…

Ecco, la confessione è quasi finita. Da allora trascorsero quattro anni, mi stufai di giocare a calcio e, stavolta per davvero, mi iscrissi a karate. Ero pure maturato (non molto, ma abbastanza) da accettare la formalità dell’inchino e del saluto. Ma, per lungo tempo, rimase solo una formalità. Come dire a un estraneo “Piacere!”, quando in realtà ti è del tutto indifferente…

La vera importanza del saluto l’ho capita solo dopo. Tanti anni dopo, quando ero in un posto lontano lontano. Era la mia prima lezione ed avevo davanti una trentina di ragazzi e ragazze. Magari non è successo davvero, fu solo una mia suggestione, ma la deferenza ed il rispetto coi quali si inchinarono a me, sottospecie di insegnante appena arrivato dall’Europa, mi colpirono profondamente. Il mio inchino verso di loro si trattenne un poco di più: così facendo volevo imprimere una maggiore importanza. Da allora, lo faccio sempre: rimanere quei pochi secondi in più vuole mostrare che chi ho di fronte ha meritato il mio grande rispetto.

A quella lezione ne seguirono tante altre… Fu un periodo bellissimo^_^

Una (rara) foto scattata nel 2013. L’autore è quello sbarbatello al centro, vicino allo specchio.

Perché il saluto?

Il saluto è come una parentesi: incornicia l’inizio e la fine dell’allenamento.

空手道は 礼に 始まり 礼に 終る 事を 忘るな (che si legge: Karatedo-wa rei-ni hajimari rei-ni owaru koto-o wasaru-na), ovvero: «Il karate comincia e finisce con il saluto». È uno dei precetti trascritti dal maestro Gichin Funakoshi.

Non starò qui a riportare come eseguire un perfetto saluto alla maniera giapponese. Primo, perché ogni scuola ha (più o meno) il suo modo di fare il saluto. Secondo, perché in rete trovate tanti di quegli esempi e fantastiche spiegazioni, che il nostro contributo non aggiungerebbe nulla di nuovo. E terzo, perché il modo migliore per imparare è farlo di persona!

Ma posso scrivere questo: in palestra diciamo sempre che con il saluto si entra in un diverso stato di concentrazione: tutto quanto non fa parte dell’allenamento deve essere lasciato fuori, pensieri, problemi, ansie, preoccupazioni. Il saluto serve a tirare una netta linea di demarcazione, per imparare a liberare la mente.

Ovviamente, non tutti siamo dei provetti monaci zen (anzi, io non lo sono nemmeno lontanamente!) Pertanto, lasciarsi davvero alle spalle gli innumerevoli pensieri della giornata è quanto di più arduo si possa concepire. Hai voglia a fare saluti: certe cose sembrano proprio non volersi scrollare di dosso! Però ci proviamo, almeno questo bisogna riconoscerlo ^_^

Tutto qui? No, c’è anche altro…

La postura corretta, l’equilibrio durante la discesa, la schiena diritta, la precisione dei gesti… Tutto questo esprime controllo del proprio corpo: una qualità che il buon karate-ka sviluppa e raffina continuamente.

Scena tratta da: “Tasogare Seibei”, regia di Yōji Yamada, 2002.
Il saluto del karate-do è (quasi) lo stesso comunemente praticato nella cultura giapponese, detto 座礼 (zarei).

Non dimentichiamo poi che il kanji (rei) significa anche “grazie”, oltre che “saluto/inchino”. Quindi: «Grazie perché stai praticando con me. Grazie perché mi stai aiutando a migliorare!» Ecco il motivo per cui, ogni volta che ci confrontiamo con un compagno o compagna, facciamo un piccolo inchino in piedi (che in gergo si chiama 立礼 ritsu-rei).

Per ultimo: cos’è quella strana parola che i karate-ka pronunciano quando si inchinano, che suona come “osso”?!? Be’, è una forma di saluto tipica delle arti marziali. Oltre che un “buongiorno”, viene usata anche per dire “va bene”, “sì, ho capito” e cose del genere. Per un approfondimento, rimando a questo ottimo articolo sui modi di salutare in giapponese.

Che dire ancora?

Mi inchino e saluto!

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