Seminario Takudai 2018 (continuo)

Abbiamo raccolto una piccola intervista ai nostri due eroici Max e Roby, che hanno valicato le Alpi e sfidato i rigori delle nevi svizzere per seguire il seminario Takudai 2018, tenuto a Monaco.

Qui già nevica!?

Prima una curiosità: come mai una sosta a Dachau?

Be’, in realtà era doverosa, e non solo perché eravamo sulla strada. Come ho già postato su FB: “un po’ di Storia, per non dimenticare”. Essere lì presenti, ad osservare quelle strutture vuote, di dimensioni così colossali, ti dà tutta l’idea della fragilità delle cose umane, ovvero fino a che punto si possa spingere la crudeltà quando viene a mancare la capacità di discernimento.

Non per sembrare irrispettoso verso un tema tanto delicato, ma la capacità di discernimento è proprio uno degli obiettivi di un praticante di arti marziali. È anche di questo che andavate in cerca?

Sì, non è poi sbagliato quello che dici. Confrontarsi con le grandi tragedie della Storia consente di ampliare – di molto – anche la prospettiva personale. Dico spesso che se fossi milionario mi piacerebbe passare il tempo a studiare, forse perché non ho potuto farlo quando avevo l’età giusta. Ma in fondo, un karateka è pur sempre uno studente: studia, capisce ed applica.

Che cosa avete trovato al Takudai 2018? Quali erano le vostre aspettative?

Quando siamo arrivati, il venerdì, dopo la presentazione ufficiale dei maestri, c’è stata una “sessione di apertura” fatta di tanto lavoro muscolare. Ma proprio tanto, anzi, direi troppo. Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: «Ma questo cosa c’entra con il karate? Perché mi vuoi distruggere i muscoli delle gambe?» [N.d.R.: era con il maestro Murakami]

Ah-ah-ah, questo significa che è importante mantenere la forma fisica… anche alla vostra età?

Ha parlato il giovincello… Certo che bisogna sforzarsi per mantenere una buona forma, ma a volte non basta. Come dici tu, se a trent’anni hai ancora la forza fisica, più in là bisogna sopperire con la tecnica. Per fortuna ce la siamo cavata così… Poco sforzo, massimo risultato! Uno dei principi base del karate-do!

E per quanto riguarda le aspettative? Mi sembra che il primo impatto non sia stato buonissimo…

Le aspettative? La prima sera sono scivolate sotto i piedi. Davvero, eravamo scoraggiati, delusi e… un po’ doloranti! Poi, però, grazie al cielo, c’è stato il sabato. E lì, è stata tutta un’altra musica. Innanzi tutto, per quanto riguarda l’organizzazione, molto tedesca davvero. Rigorosa, precisa, efficiente, come ti aspetti che siano i tedeschi, insomma.

Vista la massiccia partecipazione, eravamo divisi in due gruppi. La palestra aveva più sale: trecento persone per sala e, credeteci, è stata priorità assoluta mettersi in prima fila. Già il seminario era in inglese e giapponese, tradotto in tedesco, se poi non fossimo riusciti a vedere neppure cosa spiegavano, allora era meglio starsene a casa!

Quindi KCK in prima fila?

Certo! Come al solito.

E con la lingua, come avete fatto? Lo chiedo perché… non mi pare voi siate, ehm, poliglotti.

Sì, appunto, ma il karate ha il suo linguaggio universale fatto di tecniche e gestualità codificate che uniscono i praticanti di tutto il mondo. Il che rende agevole la comprensione: è bastato rimanere attenti, osservare bene i maestri e, il gioco è fatto. Ah, e ovviamente difendere la postazione. Sempre. A oltranza. Mai arretrare! La prima linea è stata la nostra trincea e… l’abbiamo difesa!

Eh, già, rimanendo in tema storico… Se non sbaglio, cadeva proprio il centenario della fine della Grande Guerra.

Sì, vero. Eravamo partiti anche con un po’ di quello spirito!

Per finire la risposta alla tua domanda, l’italiano e la sua gestualità fanno miracoli: un sorriso qui, una smorfia lì e siam tutti amici. Se poi al posto del francese parli brianzolo, è quasi i stess…

Ok, ma dal punto di vista dell’insegnamento?

La cosa che più abbiamo apprezzato è stato il filo logico che si srotolava. Mi spiego: a turno, i vari maestri si alternavano nelle sale. Noi abbiamo lavorato con Akita, Miura, Murakami e Naka. Ciascuno di loro continuava quanto fatto precedentemente dall’altro. In questo modo, il percorso di apprendimento è stato lineare e progressivo. Siamo partiti dai fondamentali e siamo arrivati alle applicazioni del kata.

Su quali kata avete lavorato?

Solo Bassai-dai. In uno stage ben organizzato non bisognerebbe mai mettere troppa carne al fuoco. Mi ricordo che quando il maestro Naka ha letto il nome della nostra scuola ricamato sulla giacca, ha esclamato: «Ah, Kanku-dai? Nex iar, nex iar!» («Kanku-dai? Next year, next year!» ovvero: Kanku-dai? L’anno prossimo!).

Qualche altro aneddoto?

È stato molto simpatico l’intervento del maestro Shiro Asano. Vedi, Asano è uno dei grandi vecchi del karate giapponese, un allievo di Nakayama. Solo che oggi ha 80 anni e fatica a stare in piedi. Così, quando si muoveva, tutti gli altri maestri lo tenevano d’occhio, pronti a precipitarsi nel caso… be’, cadesse. Lo tenevano sottobraccio, accompagnandolo ovunque.

Questo mi ha fatto venire in mente la vignetta che abbiamo condiviso un po’di tempo fa [qui, N.d.R.]: la scena in sé faceva molta tenerezza, ma ci ha fatto anche riflettere su ciò che riguarda il rispetto e il ruolo del sensei nel tempo. È stato… bello sapere che puoi contare sui tuoi allievi – ovviamente se li hai accompagnati saggiamente nel loro percorso di crescita!

Un’ultima cosa, e spero di non toccare un tasto dolente. Il cibo: cosa e dove avete mangiato? E, più importante, perché non ci avete portato un bel bretzel?

Purtroppo non abbiamo avuto modo di mangiare niente di tipico: niente würstel e crauti, ma pizzeria italiana (i tedeschi non mettono la mozzarella sulla pizza! Al suo posto c’è una specie di emmental ma in realtà non è male. Per dirla tutta, era buona, meglio di certe che vendono da noi nelle città turistiche) e poi… McDonald’s. Non molto salutare, ok, ma è andata così. Per il bretzel… siete venuti voi? No! E allora niente bretzel; certe occasioni sono uniche e vanno colte al volo!



Un commento su “Seminario Takudai 2018 (continuo)”

  1. Si, è vero, mi spiace per l’occasione perduta… però qualcosina che non fosse solo entusiasmo ed ulteriore esperienza potevate portarla a casa anche a noi!

Scrivi un tuo pensiero